Sono passati ormai otto mesi dal mio rientro dall'Africa e tutte le esperienze, gli incontri e le vite sfiorate prendono altre colorazioni. Oggi devo pensare alla tesi, ma non è facile per me trasformare in “scienza” o tradurre in linguaggio tecnico ciò che è veramente stato. Io le cose preferisco raccontarle, scriverle, lasciare che le parole scorrano nomadi, tentando di dare
sapore ai miei sentimenti. Le parole hanno davvero una forza grande, riescono a compiere cammini che pochi altri posso percorrere. Preferisco narrare, con la penna e la carta, storie realmente accadute o semplicemente descrivere ciò che provo e che vedo. Anche la scrittura necessita di una tecnica ma, al mio livello, è decisamente più libera e anarchica ...Ma torniamo alla tesi.
Il punto focale della tesi è il concetto di “resilienza” , parola presa i prestito dalla fisica, che sta ad indicare la capacità di un corpo di mantenere la sua forma anche dopo aver subito un urto improvviso e violento. É un concetto ripreso dalla psicologia e successivamente dalla pedagogia, e riferito all'essere umano suonerebbe così:
“è il processo che permette la ripresa di uno sviluppo possibile dopo una lacerazione traumatica e nonostante la presenza di circostanze avverse (Boris Cyrulnik),
oppure ancora:
“ è la capacità o il processo di far fronte, resistere, integrare, costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante l'aver vissuto situazioni difficili che facevano pensare a un esito negativo (Elena Malaguti).
Mi sembra interessante approfondire questa tematica proprio perchè le persone con cui ho condiviso del tempo, avevano subito fortissimi traumi: la guerra.
Ex bambini soldato, vittime e carnefici unificati nello stesso essere. Possiamo parlare tranquillamente di un doppio trauma. Ci sono dei modelli che possono essere applicati dagli educatori. Quando parlo di educatori, parlo di persone che non si muovono per puro spirito “vocazionale” verso l'altro, non parlo di volontari improvvisati ( con tutta la stima per questi ultimi). Con il temine educatore mi riferisco ad una figura professionale, che abbia compiuto un cammino personale di crescita umana, utilizzando gli stessi mezzi appresi negli anni di studio,e che un giorno tenterà rispettosamente di utilizzare, conformandoli alla irripetibile soggettività di un altro essere umano. Nel prossimo post cercherò di raccontare un modello pedagogico fondato sul concetto di resilienza... “LA CASITA”, che è quello che ho cercato di seguire, adattandolo alla situazione di Gulu.
mercoledì 13 maggio 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Ciao Diego,
RispondiEliminatorno sempre volentieri a leggere il tuo blog.
non trovando l'indirizzo ti scrivo qui.
Concordo al cento per cento: l'educatore è una PROFESSIONE e se per fare l'avvocato devi essere laureato, aver fatto l'esame di stato e il praticantato, non vedo perchè nel sociale e sopratutto nell'educazione (comunità minori, anziani, disabili ecc.) facciano lavorare persone senza alcuna formazione.
Con tutto il rispetto per i singoli, le loro storie, il volontariato è una cosa, esercitare di professione l'educatore un altra, spesso questo mondo strano vuole che più si debba abitare, accogliere, lavorare con dimensioni difficili, quasi impossibili (come per esempio nel tuo caso) più vengano sottovalutate e lasciate a persone senza gli strumenti necessari per affrontarle.
Un in bocca al lupo per la tesi!
Gisella
Ciao Gisella grazie per il post.
RispondiEliminaL'educatore è una figura troppo "liquida"
per dirla alla Baumann. Il suo riconoscimento sfugge
non solo all'uomo della strada ma anche a chi si occupa di politiche sociali ecc..
ti do la mia mail: gogigogo@gmail.com.
Così ci si può anche dilungare un po'.
crepi per la tesi e giro l'imbocca al lupo anche a te!
Gigo