giovedì 24 settembre 2009

La Storia di Richard


Un’altra storia, une delle tante storie che si possono sentire in nord Uganda. Questo racconto è frutto di un’intervista fatta in occasione del mio ultimo viaggio a Gulu da cui è nato un progetto rivolto ad ex bambini soldato. Da quell’esperienza è nato anche un video che si intitola: “Sette Storie tra…Troppe” che raccoglie la sintesi di tutte le interviste e racconta la situazione in nord Uganda. Dopo Vicky, ecco la storia di Richard, un altro sopravvissuto alla guerra.


Mi chiamo Richard, mi hanno rapito nel 1995 da Atiak e abbiamo lasciato Atiak dirigendoci in Sudan. Abbiamo combattuto tantissimo e poi siamo ritornati qui in Uganda.. Avevo molte ferite, alcune le puoi vedere anche adesso. Quando sono tornato mia mamma e mio papà erano morti. Adesso ho la mia nonna e mio nonno, e vivo con loro e tutti e due sono deboli e anch'io lo sono e non abbiamo nulla da fare. Abbiamo molti problemi. Non abbiamo scelta della vita, e non so come potete aiutarci. Anche il governo, come ci può aiutare? Come può aiutare le persone tornate dal Bush? Quando mi hanno rapito ero uno studente. Studiavo in Atiak, in P4, in una scuola che si chiama Olyà P7 school. Quando mi hanno rapito, mio fratello più grande è stato ucciso. Quel giorno anche altri sono stati rapiti e sono morti subito dopo, sono rimasto solo io. Eravamo in sette e sono rimasto solo io. Da lì mi hanno portato in Sudan e sono stato lì per tre anni. Poi sono tornati in Uganda e sono stato qui per un anno per poi tornare in Sudan per altri quattro anni. Sono tornato ancora in Uganda, più precisamente a Soroti, dove abbiamo combattuto. Da Lira siamo andati a Kitgum e anche là abbiamo combattuto. poi ci siamo spostati in un posto chiamato Pader. Da lì poi sono scappato sono tornato a casa, e ho trovato molti problemi. Senza mamma e senza papà, senza contare il fatto che non avevo nulla ed ero debole. Mi sono fatto queste ferite, le vedi. Non pensavo di poter sopravvivere. Mi davano da mangiare ma non potevo mangiare. Non so nemmeno come spiegartelo. Non avevo la lingua perché mi era stata tagliata. Fortunatamente sono guarito bene. Parlo, mangio ma non ho i denti. Vedi alcune cicatrici sulla testa e sulla guancia. Ne ho anche sul torace sulle braccia. Ne ho dappertutto anche nelle gambe. Mi hanno sparato in bocca mentre camminavo dal Bush. Siamo entrati in un'imboscata della UPDF. Eravamo in 15 quel giorno, ed hanno iniziato a spararci addosso. Mi sparavano ma sono stato fortunato e sono scappato. Le altre 14 persone sono morte. Vedi, quando sono tornato a casa le persone del mio villaggio non mi conoscevano neppure. Iniziai a fare domande a chiedere della mia famiglia, ma loro non mi riconoscevano. La mia vita adesso è di Dio, va avanti con la forza di Dio e non con la mia forza. Senza Dio non posso vivere. Sono stato nel Bush per nove anni e sono tornato nel 2004. Dopo due settimane dal mio rapimento, mio nonno stava andando nei campi e i ribelli lo hanno trovato e gli hanno tagliato la mano. Due ragazzi che camminavano con lui sono scappati mentre lui è rimasto. Gli hanno tagliato la mano con una zappa che aveva per zappare. Quelli che hanno fatto questo erano gli stessi ribelli che mi hanno rapito. Adesso lui è debole, e anch'io sono debole. C'è solo la nonna che aiuta tutti e due e tutti noi viviamo con le sue forze. Lei ha 49 anni. Ci sono anche dei bambini qui, per questo se qualcuno può aiutarci sarebbe bello. Perché è difficile aiutare questi bambini, perché noi non abbiamo niente. Ciò che danno per aiutare le persone ritornate dal Bush (il package) io non l’ho mai ricevuto. Ho ricevuto solo le cose che potete vedere qua in casa mia: il materasso, la zanzariera eccetera, che mi sono stati dati dal centro di riabilitazione e si chiama World Vision. Mi hanno aiutato anche ad avere questa casa. Vivo con le cose che vedete qui, con le cose che avete visto che sto facendo. È questo che mi fa vivere. Se mia nonna non riesce a trovare nulla per la nostra famiglia ci penso io, ci sono io. Se qualcuno può aiutarci, per noi potrà esserci un futuro migliore perché la nostra vita è complicata. Anche i vicini m'insultano perché tutti noi siamo disabili e poi loro non vogliono vederci. Quando vedono qualcuno con noi, tipo voi, sanno subito che ci arrivano degli aiuti. Ma non è vero! Non so cosa voi potete fare per noi, per la nostra vita. Forse le persone che non ci aiutano pensano che noi non abbiamo abbastanza problemi ma ho talmente tanti problemi, che a volte non riesco nemmeno a mangiare. Vado a dormire senza mangiare. Io vedo ancora molto futuro davanti a me e ci sono tante cose che non ho fatto ancora. Si, sono debole e ho bisogno di aiuto e sarò felice di riceverlo. Il lavoro che sto facendo si può fermare in un minuto. Oggi non ho lavorato e domani non potrò mangiare. E così non posso fare nulla, non posso farci nulla. Voi potete vedere come vivo. Come posso vivere meglio? Posso dire tante cose ancora..... ma non so, se avessi avuto più tempo sarebbe stato meglio. Perché siete venuti qui? siete venuti qui solo per capire la mia storia oppure.....? oppure avete visto cose brutte e volete aiutarmi? Avete visto la mia vita, come cammino, la mia casa, i miei vestiti, insomma avete visto tutto. Dovete vedere come potete aiutarci, per esempio aiutare a trovare un posto dove stare perché non abbiamo casa. Questa non è la mia. Se dovessero dirmi di lasciarla e di tornare nel villaggio, non avrei la forza per coltivare nei campi. Chi potrà aiutarmi? chi potrà aiutarmi a trovare cibo per mangiare? Se trovassi una casa potrei vivere bene. Se mi danno tutte queste cose sarebbe meglio. Io sono ancora giovane, quest'anno compio vent'anni. Ho ancora un futuro, e questo è un pensiero a cui dedico molto tempo. Devono trovare una strada per me per il mio futuro.

giovedì 3 settembre 2009

La Storia di Vicky


Questa è solo una parte delle sette storie che ho ascoltato durante la mia permanenza in Uganda la scorsa estate.
Sono sette vite accomunate da un’unica storia…la guerra.
Vicky è una ex bambina soldato, rapita dai ribelli quando aveva solo 9 anni. Ha accetto di condividere la sua storia, quello che è stata costretta a vivere durante la guerra. Ha parlato con fatica. Teneva lo sguardo fisso nel nulla mentre ricordava quei momenti, senza lasciar trasparire emozioni. E’ con rispetto che ho ascoltato le sue parole e con lo stesso rispetto le regalo a voi. Non è di facile lettura per due motivi: per il contenuto e perché ho voluto essere fedele alle sue parole, senza sofisticazioni e eccessivi aggiustamenti.

Mi chiamo Vicky. Mi hanno presa nel 1996, quando avevo solo nove anni e sono tornata nel 2000. Mi hanno rapita di notte, verso l'una. Abbiamo camminato tanto, fino al mattino. C'era un anziano che hanno preso insieme a noi, poi l'hanno ammazzato perché hanno visto che era debole e non camminava. Alle 11 della mattina dopo hanno rilasciato alcune persone. I ribelli ci hanno chiesto se volevamo restare con loro o se volevamo tornare indietro e noi, vedendo che avevano ucciso l'anziano abbiamo avuto paura, e così abbiamo risposto che volevamo restare. Abbiamo camminato con altra gente fino al punto in cui ci siamo uniti ad altre persone. Eravamo in tanti ed era circa l'una del pomeriggio. Io e mia sorella non parlavamo Acholi, che era la loro lingua, bensì Madi. Mi hanno picchiata perché parlavo Madi, sino che mia sorella ha cominciato a parlare Acholi. Dopo avermi picchiato mi hanno lasciata. Hanno detto che dovevamo lavarci e così abbiamo fatto. Io in quel momento ero morta perché mi hanno picchiata tantissimo, e non potevo più muovermi e non avevo nemmeno la forza di fare il bagno. Hanno iniziato a picchiarci all'una sino alle tre. In quel momento ero morta e alle sei sono risuscitata, (mi sono ripresa). Un capo dei ribelli ha chiesto dove fossi, mi cercavano. È venuto da me e mi ha chiesto dove fossi stata, io non ho risposto, dopo di che mi hanno dato il cibo da mangiare ma non ero capace. Quella sera i ribelli hanno preparato dell'acqua calda per fare la doccia. Mi hanno fatto anche una puntura dopo la doccia. Il giorno dopo ci hanno dato anche delle medicine. Ci sentivamo meglio. Quel posto era in Uganda e stavamo bene lì. Non c'erano problemi. Siamo stati in Uganda per due anni mentre Kony (capo dei ribelli) era in Sudan, e diceva: tutti questi ragazzi che avete rapito li dovete portare qui da me in Sudan. Questi ragazzi erano destinati a fare i bambini soldato. Noi siamo state portate la nel 1998 per essere addestrate nel bush (boscaglia dove i ribelli vivono e combattono), per imparare ad usare le armi. Non c'era un posto dove poter stare, ero continuamente sballottata. Poi sono andata a vivere con un uomo, era un dottore. Avevo 11 anni. Non sapevo cosa avesse in mente quell'uomo, quindi ero tranquilla. Ad un certo punto, ha organizzato con le sue mogli dei lavori e io sono rimasta da sola con lui. Eravamo io, lui e una moglie. Lui ha detto a questa moglie di preparare il letto per me, poi ha detto ancora alla moglie di dirmi che dovevo andare preparare il letto per i bambini. Al ritorno, quell'uomo era già sul mio letto che mi aspettava. La moglie aveva il compito di chiudere la porta della stanza. Io non sapevo che lui fosse nella mia stanza, pensavo ci fosse ancora la moglie che preparava il letto. Ad un certo punto la moglie ha spento la luce e ha chiuso la porta. Io pensavo: come posso uscire! Perché hanno fatto questo? Parlavo da sola. Mi sono smarrita in quel buio, perché cercavo una via di uscita ma non sapevo dov'era la porta. Lui era appoggiato al pilastro e mi aspettava, mentre io camminavo a tentoni nel buio. Mentre camminavo lui mi ha afferrata e mi ha buttata sul letto. Ha iniziato a fare i suoi comodi sino che ne ha avuto abbastanza. Io non potevo nemmeno camminare dopo questi abusi, ma lui al mattino era già fuori e mi ha lasciata sul letto. Lui ha fatto la doccia e poi è uscito. Una donna mi ha chiesto se volevo fare la doccia, ma non potevo parlare. Io non volevo fare quelle cose con lui, così lui ha tentato di strozzarmi. Per non farmi gridare mi ha infilato un fazzoletto sino in gola. Io ho rifiutato di fare la doccia, sono caduta e ho iniziato a camminare gattoni fuori dalla capanna. Sono stata così per tre giorni, senza lavarmi. Puzzavo come non so cosa. Sono entrata nella camera dove dormivamo e poi un'anziana è venuta e ho iniziato a piangere. Mi ha chiesto che cosa fosse successo. Piangevo senza parlare mentre lei preparava dell'acqua calda per massaggiarmi e lavarmi. L'ha fatto per tre giorni. Dopo questo tempo mi sentivo un po' meglio, ma non camminavo ancora bene. Anche oggi, a volte le gambe mi fanno molto male. Nel frattempo Kony ha detto che dovevano essere allontanate le ragazze da quell'uomo che ha abusato di me, perché sospettavano che fosse uno stregone. Sono stata portata a casa di un altro uomo e sono stata da lui per circa due anni perché dicevano che l'uomo che mi ha violentato aveva la sifilide e che quindi ero malata. Poi ho conosciuto il mio attuale marito, Daniel. Non eravamo insieme da tanto quando siamo ritornati in sud Sudan. Siamo restati lì poco tempo e subito ci hanno comunicato che dovevamo ritornare in Uganda. Abbiamo camminato tanto, e in quel tempo sono rimasta incinta di Joyce. Durante la gravidanza di Joyce ero in pessime condizioni. A volte andavo a dormire senza mangiare perché stavo male. La pancia cresceva lo stesso, così è nata Joyce. Quando è nata ho sofferto tantissimo. Mi sono subito resa conto che la nostra vita era in pericolo. Nessuno laggiù mi aiutava, e poi Kony ha detto che dovevamo ancora ritornare in Sudan ma ho pensato tra me: “se io non morirò in questo viaggio, morirà sicuramente la mia bambina”. Devo tornare a casa, devo scappare. In quel momento Daniel non aveva capito le mie intenzioni. Io nel 2004 sono tornata a casa. Joyce era piccolissima, meno di tre anni. Tre giorni dopo la nascita della mia bambina ho iniziato camminare. Quando sono arrivata a casa non volevo mangiare e fare niente perché pensavo che le cose che mi davano da mangiare erano avvelenate. Non ero stata curata. Avevo ancora il sangue del parto, perdevo ancora sangue. Mi hanno aiutata, mi hanno messo acqua calda per massaggiare la pancia (usanza acholi) hanno lavato la bambina e poi me. Dopo, una volta lavata hanno cucinato tanti tipi di cibo, Ma mi rifiutavo di mangiare e li ho accusati di volermi avvelenare. Hanno chiesto ad un anziano che sapeva la mia lingua, di parlarmi. Avevo in testa tutte le idee che mi avevano inculcato i ribelli. Mi hanno portato da lui, in un posto che si e poi l'anziano mi ha detto: “tu pensi si sia del veleno nel cibo? benissimo, allora lo mangeremo insieme”. Tutte le cose che mangiava lui le mangiavo anch'io. Sono stata lì forse cinque giorni. Mi hanno fatto delle punture è mi sentivo meglio. Sono stata lì tre giorni, ma hanno detto che non potevo stare da sola e quindi mi hanno portata a in una città del nord, dove c'erano altri ragazzi. Sono stata lì ma non avevo nessuno, non conoscevo nessuno. Non c'era nessuno originario delle mie parti che poteva venire a trovarmi. Pensavo: “non ho più genitori! Non ho più nessuno!” Vedevo i parenti di alcuni che venivano a trovarli e portavano cose da mangiare ecc, allora pensavo: “mi lasciate qui perché non ho nessuno”. Sono stata in li per sette mesi. Una volta iniziato l'ottavo mese ho chiesto di poter tornare a casa mia. Dicevo: “se sapete che non ho nessun posto dove andare, dovete portarmi a Gulu, nel centro per ex bambini soldati che si chiama Gusco. Li è abbastanza vicino a casa mia, così se i miei genitori fossero stati ancora vivi avrebbero potuto trovarmi, oppure avrei potuto parlare alla radio ( quelli che tornano possono parlare alla radio per comunicare che sono ancora vivi, per farsi raggiungere dai parenti ). Loro mi hanno detto che non avevo più nessuno. Un giorno un soldato che veniva dal mio paese, ha detto che mi conosceva. Mi avrebbe preso e portato a casa mia dai miei genitori, ma avrebbero dovuto pagarlo, per i soldi che erano serviti per il trasporto sino al paese. Quando ho sentito che avrei dovuto pagare, sono andata allo staff di Gusco perché ho pensato che mi voleva riportare ancora nel bush. Anche lo staff pensava quello che pensavo io e così fu arrestato. Ero convinta di non aver più nessuno della mia famiglia ma volevo andare ugualmente il mio paese. Cercavo un aiuto. Nel gennaio del 2005, sono tornata, in un primo momento, i miei parenti sono scappati. Mio fratello era a casa ma mio papà e mia mamma erano morti. Appena mio fratello mi vide scappò. La zia, sorella di mia mamma, ha visto la situazione. Le donne erano in piedi con l'intento di scappare quando è arrivata la macchina che mi portava. Ho visto mia sorella che diceva: “questa somiglia a qualcuno, somiglia a Vicky, poi mia zia mi ha riconosciuto. Mio fratello, dopo essere scappato è tornato. Ho chiesto: “perché scappavi? adesso sono cambiata, tu credi che io sia ancora una ribelle della LRA? perché devi scappare? sono inutile per la vostra famiglia?” lui ha detto: no! Sono scappato perché ho pensato che fossero venuti a rapirmi, non sapevo che fossi tu”. Nessuno dei miei parenti si è degnato di venirmi a vedere. Ci sono rimasta malissimo perché voleva dire che nessuno mi voleva bene. Mi dissi: “dovevo rimanere lì, nel bush, così se fossi morta, sarei morta tranquilla. Adesso sono qui e loro non mi vogliono”. Altri miei fratelli sono venuti a trovarmi mentre dormivo. Alla mattina, tutti passavano senza salutarmi. Non mi salutava nessuno. Mio cugino è venuto a trovarmi. Persone che venivano da lontano e le ragazze con cui sono cresciuta, sono venute a vedermi ma i miei parenti no! Sono stata lì per una settimana. Volevo tornare a Gulu, dalle suore che mi hanno insegnato a cucire. Ho visto che anche Daniel era tornato, e poi eravamo insieme anche nel bush. Dovevamo stare insieme perché non potevo portare mia figlia continuamente in giro, perché noi donne che siamo tornati dal bush con figli, non possiamo trovare un altro uomo, non ci vogliono. Potevano insultare mia figlia, per tutte le cose che avevamo fatto noi nel bush. Queste cose possono ricadere sulla vita di mia figlia. Daniel non può maltrattare la bambina, e sua figlia. Così abbiamo iniziato a vivere insieme, sino ad ora. Questa è la mia storia.