mercoledì 29 aprile 2009

Ascolta, taci e respira


Mi sento un po’ perso, l’Africa ha questo potere. Il potere di far sentire piccoli piccoli.
Sarà forse per via della grandezza del suo cielo, e per l’estensione della sua terra rossa.
Che cosa puoi fare davanti a tanta libertà di sguardo e di respiro? Penso che l’Africa sia proprio una terra, che prima di ogni altra cosa, sia terra da respirare. L’odore è acre e dolce allo stesso momento. Odore che respinge e attira. Odore di legna arsa dalle donne per preparare il cibo, odore di nafta e petrolio delle macchine e dei camion che corrono per le strade alzando nubi di tempesta. E’ l’odore a volte irruente a volte gentile del mercato che, al solo sguardo, sembra riassumere una filosofia ancestrale che da senso a tutto quell’ordine imperfetto o a quel disordine perfetto. E’ l’odore della gente che lavora, che cammina, che aspetta paziente, che celebra, che vive. E’ l’odore dei bambini che giocano, delle donne che sorridono, dei mercanti che attendono. E’ l’odore del tempo che ha una sua dimensione indomabile e imprevedibile. Qui tutto ha un suo odore; la pioggia, il sole la terra, la sera, il mattino, le stelle, il silenzio e a me non resta che respirare a pieni polmoni questo odore frizzante che è l’unico vero colore dell’Africa mai dipinto.
Mi trovo a Gulu, nel nord dell’Uganda. “La perla d’Africa”, ecco com’è chiamata questa terra.
E’ una terra bellissima, ricca di vegetazione. Fertile, questo è l’aggettivo giusto per descriverla. L’Africa è donna fertile, è mamma per eccellenza, è dispensatrice di vita in abbondanza.
Una vita che troppo spesso è calpestata, disprezzata, imbruttita da logiche di potere che vengono da lontano, tanto da non vederne il principio. Non mi dilungo sulla situazione di questo paese perché l’ho già descritta nella mia prima lettera qualche giorno prima di partire.
Cosa dirvi? Qui, dopo più di 20 anni di conflitto e violazione di diritti umani, si comincia a respirare un clima di positività, ma in punta di piedi. La gente è diffidente, non ha il coraggio di gridare con tutta la voce che la guerra è finita. I trattati di pace non sono stati firmati, e qualcuno dice che, probabilmente, non lo saranno mai. Questo popolo però, lentamente sta alzando la testa, si sta riprendendo poco a poco la libertà di abitare e di esistere la propria terra. Io comunque mi sento a disagio nel condurre la mia ricerca, devo dirvi la verità e sapete perché? Qui ci sono circa di 300 organizzazioni, tra quelle internazionali, locali, non governative, donor ecc. Sono tantissime! Tutti hanno progetti da portare avanti, tutti cercano soluzioni, sembrano avere l’abito e l’ambito giusto per “salvare” questo popolo.
Ma cosa fanno tutti qui? Perché cosi tanti?
Io non faccio altro che aumentare di una singola unità questa già abbondante lista.
Mamma mia! Alcune persone con cui ho parlato sono molto critiche a riguardo. Dicono che tutta questa costellazione di organizzazioni ha creato solo dipendenza, per via della loro politica assistenzialistica.
La gente, soprattutto quella dei campi IDP, è diventata “Lazy”, pigra.
E’ abituata ad alzare le mani e non le maniche, ad alzare le braccia e non la testa.
La politica governativa vigente è quella di incoraggiare la gente dei campi a tornare nei propri villaggi d’origine. Sapete come fa per invogliarli? Dona ad ogni famiglia un paio di lamierine per costruirsi il tetto della capanna! Bello no?! Praticamente, dopo più di 20 anni di assenza dalla loro terra immersa per decine di chilometri nel bush, nella boscaglia, il governo regala due pezzettini di “ondulus” come supporto e incoraggiamento.
..mmm, che gola che mi fa! E chi non accetterebbe di andare a vivere in mezzo a una boscaglia senza possibilità di cure mediche, senza strade, senza scuole, senz’acqua e senza servizi di nessun tipo ma con due lamierine da portare per chilometri sulla testa? Solo un pazzo non accetterebbe!
Potrei raccontarvi ancora un po’ di aneddoti di questo tipo ma preferisco raccontarvi i volti che ho incontrato. Mi riferisco specialmente all’incontro con una ragazza sul bus che dalla capitale Kampala mi ha portato in poco più di sei ore qui a Gulu.
E’ l’episodio delle due banane.
La pace, l’accoglienza e l’alleanza con lo straniero, qui passa da due banane.
Il viaggio è durato tantissimo anche perché a ogni villaggio incontrato il bus si fermava e veniva assalito da venditori che proponevano di tutto, da frutta, spiedini di non so cosa, bibite, platani arrostiti ecc. Quattro sedili davanti a me c’era una ragazza molto bella, con delle lunghe treccine raccolte da un pezzo di stoffa colorato. Ogni tanto si girava e abbozzava un timido sorriso. Erano i primi segni di accoglienza al “Muzungu” (uomo bianco), allo straniero. A un certo punto la ragazza, allungò un braccio verso di me. In mano aveva un pezzo di cassava che aveva comprato dal finestrino del bus, in una delle tante soste. All’inizio non sapevo se il suo gesto fosse rivolto a me o a qualcuno vicino a me. Il bus era pienissimo e c’era anche gente in piedi, quindi potevo anche non essere il destinatario. Poi, allungai timidamente la mano e lei si aprì in un sorriso bianco come poche altre cose al mondo.
Presi la cassava e la mangiai ringraziando più volte.
Dopo altre due soste, la ragazza si girò nuovamente verso di me, ma io stavo guardando altrove, così fui avvertito dalla signora che mi sedeva accanto. Senza parlare la signora mi toccò con due dita il gomito e indicò la ragazza con l’indice semichiuso. Questa volta aveva in mano due banane. Io mi sentivo imbarazzato, ma mi alzai ugualmente e facendomi un po’ di spazio tra la ressa, le presi ringraziando la ragazza per le sue premure.
Dopo averle contemplate, meravigliato le mangiai.
La signora accanto a me, con voce sottile mi disse:
“Sai cosa vuol dire questo?”
Io risposi un po’ stupito: “beh…n..no”.
“E’ un segno di pace. Nella nostra cultura (Acholi) è segno di alleanza con l’ospite.
Quando viene un ospite a casa a visitarti, come prima cosa, usciamo nel cortile, tagliamo delle banane e le offriamo all’ospite. Con questo gesto la ragazza ti ha fatto capire che tu si sei benvenuto in questa terra”.
E noi in Italia cosa facciamo? Sarà il caso di cominciare a coltivare delle piante di banana?
Ecco il primo spiazzante benvenuto che questa terra mi ha riservato.
Ora basta, è buio, e la notte africana non manca di generosità. Insieme al canto di animali che posso solo affidare alla mia immaginazione per vederne la forma, si accendono miliardi di stelle e tra questa moltitudine brilla anche la croce del sud.
Buona notte
Afojo Matek

martedì 28 aprile 2009

un po' di Storia per capire le Storie

...giusto per sapere un po' le origini del conflitto.
Nel 1860 iniziano le prime spedizioni colonizzatrici nell'Africa orientale, nella zona dei grandi laghi. Dal 1877 al 1879 cominciarono a insediarsi alcuni missionari, protestanti prima e cattolici poi. Nel 1894 l'Uganda diventa protettorato britannico e lo rimarrà sino al 1962, quando otterrà l'indipendenza. Gli inglesi avevano sviluppato l'agricoltura nel sud del paese, nella zona della capitale Kampala abitata dai baganda, mentre nel nord abitato dagli acholi la gente era impiegata prevalentemente nell'esercito.
Il 9 0ttobre del 1962 l'Uganda diviene indipendente.
Per mantenere un certo equilibrio venne fatto presidente il re dei Buganda, del sud, e primo ministro Milton Obote (un acholi). Questo assetto durerà sino al 1966, quando Milton Obote prende il potere con un colpo di stato. Nel 1971 sale al potere Idi Amin Dada, originario dell'West Nile e cominciano gli 8 anni di dittatura più feroci della storia del continente africano. Le vittime causate dalla ferocia di Amin non sono mai state quantificate in maniera precisa. Una stima della International Commission of Jurists ha stabilito che esse siano non meno di 80.000 e verosimilmente vicine ai 300.000. Un'altra stima effettuata dalle organizzazione degli esuli con l'aiuto di Amnesty International, pone il numero di vittime sui 500.000 morti.Espelle 50.000 indiani da paese e apre un conflitto con la Tanzania. Nel 1979 Amin viene sconfitto e torna al potere Obote, fronteggiato da Yoweri Museveni, (l'attuale presidente ugandese originario del sud).Nel 1986 dopo anni di instabilità Museveni entra a Kampala e di proclama presidente. Il nord del paese è sconvolto da guerriglie che vede protagonisti gruppi di ribelli contro l'esercito goivernativo. Questi ribelli vogliono fare un colpo di stato e andare al governo. Alice Lakwena, una guaritrice acholi, è capo della Hsm (holy spitit movement) un gruppo di ribelli molto attivo nel nord che vuole liberare il paese nel nome di Dio. Una volta sconfitti, Alice fugge in Kenya ed entra sulla scena la Lord's Resistance Army guidata da un pazzo visionario di nome Joseph Kony. Anche lui vuole rovesciare Museveni e instaurare un governo basato sui 10 comandamenti. Dal 1986 cominciano venti anni di durissimo conflitto nel nord del paese che ha causato 100.000 vittime, 1.700.000 profughi nella propria terra e più di 20.000 bambini rapiti dalla LRA e fatti diventare bambini soldato.
Da qui provengono le Sette Storie tra... Troppe



Gigo

venerdì 3 aprile 2009

Gulu 2008

Il primo passo di un lungo cammino


Apwoyo ba!
Sono Gigo un Educatore Sociale interessato ai temi inerenti a interventi educativi con ex bambini soldato. Ho potuto camminare per un tratto di strada con sette ragazzi di Gulu, in nord Uganda, rapiti quando erano ancora bambini dai ribelli della Lord's Resistance Army (LRA). Abbiamo condiviso solo tre mesi, il tempo del mio tirocinio. Ora questa esperienza umana ed educativa diventerà "oggetto" della mia tesi di laurea. Vi regalo i nomi di queste sette persone, e forse più avanti anche le loro storie. E' la storia di Richard, Nighty, Denis, Daniel, Vicky,Geoffrey e Chales. Sono sette vite, sette storie non difficili da sentire in nord Uganda.
Purtroppo sono Sette Storie tra... Troppe.